Campane tibetane, consapevolezza, coscienza, unicità è una tesina di
Andrea Lulli
La musica
Alla musica sono stati attribuiti nel tempo molti significati, ognuno ha cercato per la propria esperienza di studiarne i poteri, gli effetti, le caratteristiche. Possiamo darne una spiegazione più tecnica, intesa come arte dell’organizzare suoni semplici e complessi che variano per altezza, intensità, timbro, organizzata secondo regole matematiche, che come Pitagora capì, mettono in relazione rapporti frazionari e suono, così come l’insieme dei ritmi, delle melodie e delle armonie che possono nascere da tutto questo.
Già dal suo significato etimologico ne capiamo l’importanza, deriva infatti dal greco musiké ovvero riguardante le Muse e stava ad indicare ogni arte a cui le Muse presiedevano, prima fra tutte la poesia, anche cantata e messa in musica. Ma la musica ha assunto poi anche significati differenti a livello storico ed antropologico, da popolo a popolo, come forma di espressione culturale correlata con le varie attività sociali, e come rappresentazione vera e propria di un linguaggio etnico. Insomma, da qualsiasi punto la osserviamo o la studiamo resta comunque una delle arti più utilizzate dall’uomo ed ogni definizione ha ragion di essere per tutta una serie di motivi storici, culturali ed umani. Uno degli aspetti su cui vorrei però soffermarmi è il potere che ha la musica sulla sfera delle percezioni e delle emozioni umane. Da molti anni viene infatti utilizzata per i suoi effetti benefici ed anche terapeutici. Agisce sul nostro corpo (Nietzsche diceva “ascoltiamo la musica con i nostri muscoli”), origina un’esperienza emozionale, coinvolge la mente; se ne studiano gli stimoli sul Sistema Nervoso Autonomo, da cui dipende la funzionalità e l’attività di molti organi ed apparati, tra cui la frequenza cardiaca, respiratoria, la sudorazione, l’attività gastrica, la tensione muscolare e la produzione di ormoni. Non a caso possiamo notare che ogni qualvolta ascoltiamo una musica abbiamo tutta una serie di sensazioni alle quali spesso non sappiamo attribuire uno specifico motivo, ma di fatto nel nostro corpo così come nella nostra mente si mettono in moto stimolazioni fisiologiche e non solo, e in quel momento accade qualcosa di magico che soltanto nella nostra singolare esperienza assume un valore specifico e ha ragione di esistere. Ed è li che voglio portare la mia attenzione. Hoffman diceva: “la musica dischiude all’uomo un regno sconosciuto, un mondo che non ha nulla in comune con il mondo sensibile esterno che lo circonda e in cui egli si lascia alle spalle tutti i sentimenti definiti da concetti per affidarsi all’indicibile”.
Da qui credo di aver capito che la musica appartiene da sempre ad ognuno di noi, e che la sua potenza emotiva, affettiva ed evocativa, così come i suoi effetti, appartengono solo e soltanto alle nostre singole percezioni e alle nostre esperienze individuali, ciascuno ne assorbe il potere e ne traduce il linguaggio con delle reazioni e delle emozioni del tutto personali. In questo sta la magia della musica, nel suo parlare in lingue diverse, a culture distanti, eppure tutti, pratici e non, in qualche modo sappiamo capirla. Ricordo come fosse ieri, il giorno in cui mia madre mi portò a casa la mia prima chitarra. Avevo circa 10 anni, ero piuttosto timido come bambino, con esperienze di vita fino ad allora non proprio “canoniche”, i miei si separarono che avevo 5 anni, e a quell’età non mi facevo certo troppe domande sui perché della vita, ma la mia sensibilità nei suoi pro e contro stava comunque emergendo, ed ancora oggi è mia complice ed alleata, nonché croce e delizia, nell’osservare le cose della vita non sempre dalle “classiche” prospettive.
Dire che i miei primi approcci alla musica furono quello spiraglio a cui mi attacco ancora oggi per trovare me stesso non è un’affermazione così lontana dalla realtà. Imbracciai quella chitarra, sembrava enorme per me, ma toccando le corde ricordo nitidamente una vibrazione forte su tutto il mio corpo che veniva da quella grande cassa in legno. Dev’esser stato subito amore, perché da quel momento in poi non l’ho più lasciata! Se ancora oggi vivo di musica, ne provo le gioie e i dolori, piango all’ascolto di un brano, mi carico sentendone un altro, rifletto, mi emoziono, faccio viaggiare i ricordi, è tutto merito di quel magico momento e di tutto quello che parti da quell’istante e che ritrovo tuttora. Negli anni ho avuto modo di approfondire il linguaggio della musica, di capirne le sfumature, i suoi benefici, su di me e attraverso tanti altri che come ne sono stati invasi, sia come musicista, sia come semplice fruitore, e mi ha aiutato a percorrere i miei anni facendomi scoprire ogni volta lati di me che come un puzzle compongono pian piano il mio essere. Proprio questa continua scoperta e questo cammino rappresentano ancora oggi il mio motivo di esistere.
Il Training Autogeno
Nel percorso della conoscenza di noi stessi affrontiamo spesso tappe a cui non diamo li per li una particolare valenza, ma che col tempo acquistano valore se le si osserva unite al resto del nostro cammino. Per quanto mi riguarda l’incontro con il training autogeno ha rappresentato uno dei primi tasselli nella personale osservazione del mio mondo interiore. Ci fu un periodo della mia vita, intorno ai 26 anni, in cui mi accorsi di soffrire di attacchi di ansia. Ebbi un lutto un anno prima che probabilmente innesco questo meccanismo. La cosa interessante (per così dire!), che in quel momento di certo non capivo, era la capacità della mia mente di focalizzarsi su una serie di aspetti negativi ogni giorno sempre nuovi, e il tempo che dedicavo al pensarci così come gli effetti spiacevoli che tutto ciò procurava sul mio corpo (tensioni, giramenti di testa, perdita dell’equilibrio, tic nervosi, tachicardia, stomaco contratto, e ipocondria di volta in volta focalizzata sulla paura e la convinzione di avere chissà quali malattie). Mi resi conto che stava diventando un pensiero fisso al quale non riuscivo a rinunciare e che si presentava costantemente di giorno in giorno. Un terapeuta mi consigliò di provare il training autogeno, ed io, sempre aperto all’osservazione di tutto ciò che mi accade, accettai di buon grado.
Il training autogeno è una tecnica di rilassamento di interesse psicofisiologico usata nel controllo dello stress, nella gestione delle emozioni e nelle patologie con base psicosomatica. In sostanza si può riuscire con appositi esercizi e la guida di un professionista a modificare l’assetto psicofisiologico del soggetto inserendolo in un processo che si auto determina (autogeno, appunto) partendo dal soma per arrivare alla psiche per tornare al soma e così via. Si riescono ad ottenere in questo modo modifiche a livello neurofisiologico che producono a loro volta delle modifiche nella risposta emozionale che un soggetto ha rispetto ad un evento di natura stressante. Ora, la mia predisposizione e l’ottimo lavoro del terapeuta dopo un periodo certamente non semplice, hanno fatto si che la mia ansia si placasse, e a me di sicuro in quel momento bastava. Ma col tempo ripensando a quel periodo e forte di altre esperienze con la mia parte più intima, ho raggiunto una serie di considerazioni in merito veramente illuminanti, almeno per me. Ho capito quanto mente e corpo siano in relazione tra loro, e quanto per avere un buon equilibrio sia necessario prestare attenzione sia alle reazioni corporee sia a quelle più sottili, perché ogni parte di noi ci parla, e soltanto se siamo ricettivi riusciamo a coglierne i segnali, e ad intervenire in maniera netta sulla nostra completa armonia. La mia ansia, i miei pensieri fissi, erano si frutto di qualcosa di esterno, di traumi pregressi, di qualcosa del mio vissuto, ma soprattutto in quel preciso periodo di un mio condizionamento mentale, di un approccio negativo e ossessivo della mia mente verso un determinato evento o circostanza; ed è stupefacente pensare che così come la mia mente è stata capace di generare ansia, la stessa sia stata capace di ridurla e trasformare quei pensieri in atteggiamenti mentali e corporei completamente diversi ed addirittura opposti. E’ questo il nostro potere; è questo il contatto e l’equilibrio che dovremmo mantenere con noi stessi, e sui cui possiamo avere piena coscienza, generando potenzialità che spesso neanche conosciamo.
Lo Yoga
Nel parlare dello yoga vorrei cercare di non dare definizioni, e nemmeno un mio personale giudizio, perché in questo percorso mi ci trovo da poco e voglio viverlo con le piccole scoperte che sto facendo ogni volta che pratico. Beh, ci siamo, credo che questa sia un delle tappe più importanti della mia vita, e arriva come penso sia normale, dopo un periodo non semplice, fatto di forti cambiamenti, ma anche di una più accurata ricerca di qualcosa che sia ora importante soltanto per me stesso e per la mia crescita. Lo yoga mi ha sempre affascinato, mi ricordo che da piccolo “scimmiottavo” la posizione del loto seduto magari davanti ad un tramonto e cercando di stare ad occhi chiusi aspettando chissà cosa … ed oggi mi ritrovo, ironia della sorte (o semplicemente perché così doveva essere!!!), con non poca difficoltà per le mie ossa, a rifarla con tutta un altro tipo di osservazione. Nello yoga ho sentito subito un alleato, come un’aurea che in qualche modo riconosco e mi appartiene forse da sempre, sento un’affinità, una “simpatia” e credo che anche lo yoga la stia in qualche modo ricambiando. Come nelle altre esperienze, la riflessione avviene spesso a posteriori, ma la sento anche più viva nel presente, e sarà forse per l’età, più consapevole. Mi sto accorgendo di tante cose di me, anche scomode se vogliamo, ma di sicuro sto rafforzando tutto quello che ho appreso finora sul corpo e la mente. Il loro legame è indissolubile, lo voglio sottolineare, e si influenzano in una danza fatta di gioie e di dolori, comunque entrambe necessari (vedi il concetto di Yin e Yang della tradizione cinese) per la ricerca della nostra armonia, che rappresenta per me, e forse per tanti, un vero e proprio modo di vivere…
Le Campane
Ed arriviamo così alle Campane Tibetane. Chissà perché ma mentre pensavo a questa tesina, e pian piano l’ho strutturata, mi è sembrato che la scoperta delle campane sia stata quasi una tappa obbligata per me, sembra veramente un pezzo del puzzle della mia storia, e mi stupisco di quanto volontariamente o no, la mia vita stessa sia andata finora in un certo modo. È una scoperta che per certi versi mi fa paura, ma allo stesso tempo mi affascina, ed in fondo la sento mia, segno che forse non ho vissuto soltanto da spettatore! Da musicista l’accostamento con le campane me le ha rese più facili da utilizzare, al loro suono ho saputo forse dare da subito una connotazione per “simpatia”, le ho sentite familiari. Poi scoprirne le potenzialità è stato quel qualcosa in più che mi ha ricollegato ai discorsi sul corpo, la mente e la nostra armonia di cui ho parlato finora. È stato particolarmente emozionante in certi momenti accorgersi del loro effetto sul mio corpo e sulle reazioni spontanee che mi scuotevano dall’interno, ma anche osservare quelle degli altri e scoprire quanto in fondo ognuno ha quell’angolo di se stesso che è soltanto suo. Ho avuto modo di provare le campane da operatore (io) a “ricevente”, e nonostante qualche difficoltà di approcci iniziali, sembrava mi guidassero loro su cosa dovevo fare, la loro voce una volta battute o “sfregate” con il batacchio mette subito a proprio agio ed aiuta a far calare quelle piccole barriere emotive e pregiudiziali che spesso si creano tra le parti. L’armonia tra operatore, “cliente” e campane va cercata a mio avviso così come la nostra armonia interna; deve essere uno scambio più naturale possibile e soprattutto sincero tra chi cerca di “dare” e chi “riceve”, e credo che questa naturalità sia forse il linguaggio più onesto per entrare in contatto con noi stessi e con gli altri. La bellezza del suono delle campane mi ha colpito, mi ha fatto pensare ovviamente ai monaci tibetani e alle loro preghiere, al luogo in cui si trovano, e forse già questa piccola suggestione aiuta a creare l’atmosfera, e non è poco direi!
La loro vibrazione poi è qualcosa di sorprendente; non ho mai provato altri strumenti di questo tipo, ma di sicuro la composizione delle campane tibetane fa si che risuonino e abbiamo una vibrazione potente ma delicata, e nel mio piccolo, da musicista, le ho veramente “suonate” più e più volte da solo, sperimentando la durata del suono, delle vibrazioni, la forza, l’intensità, la dolcezza, l’insieme degli armonici, e credo che provare a suonarne tante insieme sia veramente un piacere per l’udito prima di tutto, ma anche per quelle sfere corporee e sottili che riescono a raggiungere. Esistono tanti tipi di massaggi, ma farsi trasportare ed “invadere” piacevolmente dai suoni e dalle vibrazioni ha quel qualcosa di “naturale” che forse il nostro corpo e la nostra mente già conoscono. In fondo anche se non ci facciamo attenzione, sappiamo che il nostro cuore pulsa, ed emette battiti e vibrazioni a tutto il resto del corpo, e noi siamo suono e vibrazione fin dentro le nostre cellule. A tal proposito gli studi di Cimatica dello svizzero Hans Jenny tentano di dimostrare un effetto morfogenetico delle onde sonore così come le famose figure di Chladni del musicista e fisico Ernst Chladni ottenute con l’ausilio di un archetto di violino che sfregava perpendicolarmente lungo il bordo di lastre lisce ricoperte di sabbia fine, che dimostrano, per dirlo in maniera semplice, come le vibrazioni possano produrre delle figure geometriche assolutamente perfette e definite dando in sostanza forma al suono. Tutto questo a me personalmente affascina e non poco, e contribuisce a rafforzare la mia convinzione su quanto pur essendo esseri così complessi nella nostra struttura, in fondo veniamo stimolati e mossi nelle nostre vite da regole così naturali che forse per vivere in armonia basterebbe soltanto saperle cogliere e lasciar fare a quanto c’è di naturale in noi stessi e in tutto ciò che circonda. E se le campane con la loro voce riescono a veicolare questa naturalità, beh, io proverei ad ascoltarle …
Consapevolezza, coscienza e unicità
Ho voluto utilizzare nell’ultimo capitolo proprio questi tre termini perché a fronte delle mie esperienze rappresentano quasi la chiusura di un cerchio (anche se il cammino ovviamente prosegue!) su quanto detto finora. La mia vita mi ha portato e riportato più volte su questi tre elementi dell’essere umano, e la loro importanza cresce e si manifesta per me giorno dopo giorno. Ho imparato, o almeno ci provo, a cogliere i dettagli di ciò che mi accade, e a capire che probabilmente di fondo una consapevolezza “grezza” derivata da quegli aspetti viscerali che tutti abbiamo, e che forse si traducono in intuito o percezione sensoriale degli eventi esterni, è il punto di partenza per vivere in maniera ricettiva. Ma da qui si può fare uno sforzo in più, ed aprirsi a ciò che diventerà coscienza vera e propria. Allora sarà questo il momento in cui potremmo vivere secondo quel “hic et nunc” (qui ed ora), presenti al nostro essere e in armonia con ciò che siamo in quel determinato momento, e questo a mio avviso vale per qualsiasi cosa si stia facendo, sia essa un attimo di spiritualità, o un qualsiasi gesto nella nostra quotidianità. Ho imparato a capire inoltre che in quell’attimo ricongiungerci onestamente con la nostra parte reale e più intima, ognuno unico ed irripetibile con le sue esperienze e i suoi perché, potrebbe essere un’esperienza davvero importante, a volte anche scomoda perché no, ma pur sempre nostra. Grazie ad alcuni strumenti sono riuscito ad arrivare più volte a contatto con la mia parte più profonda, e ad oggi le campane tibetane mi stanno aiutando a ritrovare qualcosa di me. Quando siamo li sdraiati e ad occhi chiusi, ci guidano in questo meraviglioso viaggio nella nostra natura più vera, e a noi, se ne abbiamo voglia, resta solo il compito di accoglierle per imparare ad accogliere noi stessi.
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