Sull’alto di ciascuno dei suoi cerchi stava una Sirena che, trascinata in quel movimento circolare, emetteva un’unica nota su un unico trono; e tutte otto le note creavano un’unica armonia
(Platone, Repubblica)
Il Timeo
Nel suo ultimo dialogo intitolato ” Timeo” composto fra il 355 e il 350 a.C., Platone narra la genesi del mondo sensibile attraverso l’opera formatrice di un Demiurgo che plasmando la chòra, la materia informe, riproduce e media nel tempo l’ordine e l’armonia delle realtà eterne.“Costruttore e padre del tutto”, il demiurgo è, anzitutto, “buono”, animato completamente dall’Idea del Bene. Egli plasma la cera, fonde i metalli e lavora il legno, riunisce armoniosamente le diverse parti; più in generale, è l’artigiano che riconduce il disordine all’ordine universale e, allo stesso tempo, l’intelligenza (nous) che “riflette”, “considera”, “parla”, “si rallegra” di ciò che realizza. Il termine demiourgos, (dal greco δημιουργός e poi dal latino demiurgus, “artefice, ordinatore pubblico”), unisce al contempo l’attività produttrice degli artigiani con la funzione regolatrice dei magistrati. Egli progetta, forgia, ordina la chora, lo spazio “che è estraneo a tutte le forme che deve ricevere e che accoglie tutto ciò che si genera”.
Il demiurgo
Il demiurgo, attingendo dalla realtà intellegibile, procede mescolando i quattro elementi (la terra, il fuoco, l’aria, l’acqua) in base a precise proporzioni matematiche, simili a quelle che determinano la consonanza delle note musicali. Il cosmo diviene composto, in moto perpetuo, di “sette cerchi disuguali”, uno contenuto nell’altro ed ognuno connesso ad un corpo celeste. La Terra si trova al centro e poi la Luna, Mercurio, Venere, Sole, Marte, Giove e Saturno, secondo una progressione geometrica. Le sfere concentriche, inoltre, girano intorno alla Terra e sono mosse da un’anima del mondo che le muove, le sostiene, le vivifica e che è simile all’anima moventesi di tutti gli esseri viventi che la abitano. Platone spiega, inoltre, che dei moti planetari tre pianeti sono uguali in velocità (cioè Sole, Venere e Mercurio), mentre gli altri quattro (Luna, Marte, Giove e Saturno) hanno un moto contrario e diseguale. Il filosofo nel “Timeo” non menziona il suono fisico prodotto dai pianeti, lo fa invece nella parte finale della Repubblica (X, 617a-b), e più precisamente nel racconto del Mito di Er, laddove narra di otto Sirene che, collocate in corrispondenza di ogni cerchio, emettevano ciascuna un proprio suono creando insieme un’unica grande armonia.
Il mito del carro
Ma se l’anima del cosmo si muove sempre in maniera ordinata e costante quella dell’uomo ha bisogno di essere armonizzata, ben guidata e diretta. Nel Mito del carro, descritto nel “Fedro”, Platone paragona l’anima umana ad un carro alato trainato da due furenti cavalli: uno bianco, l’anima irascibile e l’altro nero, l’anima concupiscibile. Di qui l’importanza del passeggero, dell’Auriga, dell’anima razionale che con le briglie ha l’arduo compito di mediare, di gestire la forza dirompente dei due animali e dirigerli verso Iperuranio, verso la conoscenza del mondo metafisico delle Idee. “Si raffiguri l’anima come la potenza d’insieme di una pariglia alata e di un auriga. Ora tutti i corsieri degli dèi e i loro aurighi sono buoni e di buona razza, ma quelli degli altri esseri sono un po’ sí e un po’ no. Innanzitutto, per noi uomini, l’auriga conduce la pariglia; poi dei due corsieri uno è nobile e buono, e di buona razza, mentre l’altro è tutto il contrario ed è di razza opposta. Di qui consegue che, nel nostro caso, il compito di tal guida è davvero difficile e penoso.” Dalla capacità di guida dell’auriga si determina, pertanto, la direzione del carro e del prevalere di un appetito rispetto all’altro. Ciò rivelerà l’essere nel mondo secondo concupiscenza o contemplazione, il vivere desiderando i piaceri più terreni o il vivere che, sublimando la forza dell’eros, si innalza verso la contemplazione e la conoscenza del divino, della verità, della nostra origine e radice celeste. E attraverso questa ascesi o attività razionale che Platone arriverà a parlare del Demiurgo come colui che ha dato forma ai quei “sette cerchi disuguali”, a quell’universo modellato dal Mondo originario e a-temporale delle idee.
Platone
Nello sviluppo della storia astronomica dell’uomo, la visione omocentrica di Platone e del suo amico e discepolo Eudosso di Cnido (408 a.C. – 355 a.C.) viene migliorata dal geocentrismo e poi sostituita, con la rivoluzione copernicana, dall’eliocentrismo laddove si riconosce definitivamente il Sole al centro del nostro universo. Ciò che invece è rimasto similare è il movimento concentrico dei pianeti all’interno delle loro orbite, nonostante sia ormai accertato che non descrivono dei cerchi precisi ma delle ellissi. Viviamo, per- tanto, all’interno di un universo costituito da una varietà di corpi celesti che vengono mantenuti in orbita dalla forza di gravità del Sole.
I sette cerchi di Monte Sambucano
Ora tutto questo quale riferimento può avere con le campane tibetane e con i cerchi concentrici di Monte Sambucaro? Venni a sapere dei cerchi da un mio amico napoletano di nome Massimo, esperto in Radionica. Mi fece vedere delle immagini e ne rimasi subito stupito, nello scorgere le perfette forme circolari che cumoli di pietra disegnavano sul terreno. In particolare da foto scattate dall’alto apparivano sette perfetti cerchi concentrici, da quello più esterno ed ampio di circa 50 metri di diametro a quello più interno e centrale. L’a- rea è posta in piena montagna a 700 metri di altezza ed è al confine tra Lazio, Molise e Campania. A riguardo, seppur nella rimanenza di qualche dubbio, la tesi ufficiale e documentata è che non sia un sito cultuale antico, ma un terrazzamento a girapoggio costruito dopo gli anni ’90 per impiantare una pineta.
La formazione
A distanza di circa un anno da questa scoperta, partecipando al corso di formazione de ” La Voce del Carro “, mi sono imbattuto in un’immagine che raffigurava il campo vibrazionale dell’uomo e che, riferendosi alla localizzazione dei sette chakra sul corpo, tracciava sette cerchi concentrici su una persona seduta in meditazione. Immediatamente ho associato tale disegno ai cerchi concentrici di Monte Sambucaro, riscontrandone l’assoluta similarità di forma e numero. In più ho potuto constatare che le stesse campane tibetane sono forgiate con una lega di sette metalli che richiamano i sette pianeti del sistema solare: oro per il Sole, argento per la Luna, mercurio per Mercurio, rame per Venere, ferro per Marte, stagno per Giove, piombo per Saturno. Come il forgiare cosciente del Demiurgo così le campane vengono artigianalmente fuse e lavorate con l’idea di contenere all’interno tutti gli elementi alchemici dei pianeti. “Nella loro composizione – scrive Mauro – c’è l’essenza stessa dell’intento: armonizzare l’uomo al cosmo”.Le campane divengono, pertanto, un tramite di connessione del microcosmo umano e terrestre con il macrocosmo dell’universo intero. L’uomo che le suona può risuonare, accordarsi con esso, sentirlo vibrare vicino. Può emancipare quell’“Auriga” alla contemplazione dell’opera demiurgica nel suo insieme.
Le campane e i cerchi concentrici
Da queste scoperte e somiglianze nacque l’idea di sperimentare le campane nei cerchi concentrici di Sambucaro. Al di là del valore non-archeologico del suo sito credo che una data forma geometrica possa emanare una specifica energia, a maggior ragione sette cerchi concentrici che richiamano antichi siti e simbologie e le orbite dei pianeti solari. Per questo il 6 Maggio del 2018 con i compagni del Corso di Operatore olistico in massaggio sonoro con campane tibetane ci siamo radunati e recati al Monte Sambucaro. Presenti oltre a Mauro e Luana, Luciano, Stefano, la mia compagna Daniela e dei miei amici, Giovanna, Giuseppe, Antonello, Orazio, Diego, il piccolo Vito e un cagnolino di nome Bombix. La giornata non è molto soleggiata ma permette in altura di vedere tutte le meraviglie del panorama e delle montagne circostanti. Dopo un breve cammino arriviamo in prossimità dei cerchi, un po’ nascosti tra le sparse e numerose pietre della collina. Li scorgiamo, ci avviciniamo quasi con pudore e subito rimaniamo stupiti nel vedere l’ampiezza del cerchio più grande e del susseguirsi di altri cerchi minori. Nel cerchio centrale poniamo un’offerta al luogo, dei frutti, dei fiori, dell’incenso di mirra. Ci sediamo, ascoltiamo il silenzio ameno del colle montuoso e dopo un po’, a ridosso del secondo cerchio interno, iniziamo pacatamente a suonare. Le nostre campane si rimandavano liberamente l’una con l’altra, le vibrazioni erano leggere e delicate e sembravano accordarsi ed accrescersi con i suoni della terra che ci ospitava. All’inizio provo delle sensazioni un po’ pesanti, forse dovute alle memorie di un luogo, scenario del secondo conflitto mondiale, ma pian piano iniziano a districarsi, ad alleggerirsi, a distendersi addolcite dal melodico riverbero dei suoni che si libravano lucenti nell’aria, tessendo in noi un sentimento di unità.
La propagazione del suono
Nel mentre Mauro mi dice: “Hai notato quanto il suono si propaghi?”. Le sonorità delle campane, come la propagazione geometrica ed espansiva dal primo al settimo cerchio, sembravano estendersi e allungarsi con facilità nello spazio. Chissà, forse proprio la struttura geometrica delle pietre le rendeva così effusive e dilatate e così concentrate e piacevoli. Sembrava che le vibrazioni delle campane si assimilassero armoniosamente a quei cerchi trovandone un naturale luogo espressivo e vitale. Chissà se in più abbiamo contribuito a diffondere da quel luogo la serenità e la gioia di essere uniti e vibranti, di non confliggere e di sentirsi importanti l’uno con l’altro.
Sul finire, così come il demiurgo si era compiaciuto della bellezza della sua opera, così alla stessa maniera ci siamo rallegrati di ciò che ci eravamo proposti di fare: un momento insieme, una scoperta, delle emozioni con le Campane. Alla scesa dalla montagna una tisana ha rinfrancato i nostri corpi, destato qualche riflessione, rinsaldato il piacere di essersi ritrovati. Un sorriso, un abbraccio, un felice saluto hanno concluso la giornata e avviato il ritorno alle nostre case. I sette cerchi sono lì, poco importa se sono antichi o non. Hanno donato ai nostri animi un momento di comunione tra amici e di risonanza con l’intero Universo, dalla terra al cielo, dalle pietre ai pianeti, dai cuori ai suoni.
Per approfondimenti
L’articolo è estratto dal nostro Magazine n°3, dove è possibile trovare tutte le immagini citate e gli approfondimenti bibliografici.
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