Gli appassionati di world music ricorderanno forse il clamore suscitato intorno alla metà degli anni ottanta dalla pubblicazione di un album intitolato enigmaticamente Le Mystère des Voix Bulgares (Il mistero delle voci bulgare), che pareva sorgere letteralmente dal nulla.
L’album conteneva una dozzina di brani senza accompagnamento musicale basati su voci, melodie e incastri armonici che proiettavano l’ascoltatore in una dimensione incantata al di fuori di uno spazio/tempo chiaramente identificabile; probabilmente nessuno in occidente, almeno tra il grande pubblico, aveva mai sentito nulla di simile prima.
L’ascolto della musica, in fondo, è una forma di esperienza e quei canti arcani ce ne fecero vivere una che era nuova, inedita, inesplorata.
Nonostante siano ormai diffuse in occidente da molti anni, le Campane Tibetane rappresentano ancora, per molti versi, un mistero; poco infatti è rimasto dei lignaggi tradizionali sorti anticamente sulle vette himalayane.
Nel corso dei secoli le primissime scuole buddhiste e pre-buddhiste (come la religione Bön, dai tratti fortemente sciamanici) sono state via via soppiantate da quelle successive e la trasmissione della conoscenza di certe pratiche da maestro a discepolo è andata progressivamente perdendosi; la diaspora post-invasione cinese del 1959 avrebbe poi prodotto un ulteriore strappo sulla continuità di questa tradizione.
Normalmente le persone che ascoltano per la prima volta il suono delle campane restano incantate; di fatto stanno compiendo un’ esperienza percettiva del tutto nuova, non solo strettamente sonora ma anche corporea.
Pertanto ci si chiede spesso perché le campane affascinino praticamente chiunque venga in contatto con la loro vibrazione, quale mistero si celi dietro il loro magico suono.
Probabilmente non tutti sono a conoscenza del fatto che ogni suono in realtà è di natura multiforme, essendo composto da un onda principale (corrispondente a quella che il nostro orecchio percepisce con maggiore chiarezza) più una seria pressoché infinita di altre onde a frequenza crescente che però sono per lo più invisibili; per intenderci, se esistesse un prisma sonoro potremmo scomporre il , per esempio, il suono di un pianoforte, in uno spettro non dissimile da quello cromatico e vederlo come un insieme di frequenze che vibrano insieme.
Questi suoni dentro al suono vengono chiamati armonici naturali e sono i principali responsabili della ricchezza e della particolarità timbrica di una vibrazione acustica.
Si da il caso che le campane tibetane, quelle migliori, siano ricche di armonici naturali.
Quando le suoniamo esse producono quindi più suoni contemporaneamente, udibili e non; poiché in molte discipline orientali, come ad esempio il Nada Yoga (Yoga del Suono), si afferma che ogni armonico entra naturalmente in risonanza con un determinato chakra, se ne deduce che la vibrazione della campane mette in movimento di simpatia più chakra nel medesimo istante, rivitalizzandoli.
Che sia questo uno dei motivi per i quali le ciotole ci procurano un benessere così profondo?
Come gli armonici e le strane consonanze delle Voci Bulgare ci proiettano in uno spazio/tempo indefinito, così anche le campane ci fanno pensare al suono celeste dei pianeti, a quella Musica delle Sfere che Pitagora sentiva puntando l’orecchio al cielo.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.