I feedback che otteniamo dalle persone che ricevono i nostri massaggi sonori con le campane tibetane sono tutti molto importanti
Un’esperienza
Ho pensato di condividerne uno in particolare, quello di Emanuela, mi sembra riesca a mettere in luce in modo molto chiaro e consapevole una delle possibili esperienze interiori (spesso difficili da tradurre in parole) che possiamo vivere quando siamo attraversati dalle vibrazioni delle campane tibetane. Emanuela è insegnante Yoga e operatrice in biodinamica cranio sacrale, studiosa di embriologia.
La prima volta
La mia prima sessione di campane tibetane
La scrivo il giorno dopo: i piedi e il sacro raccontano ancora una leggera vibrazione, che si espande in alto, nell’asse e in tutte le direzioni, piano piano. Ciò che più mi ha toccata. Ieri. La prima campana, da seduta, mi apre il cuore, in tutte le direzioni. Un grande spazio dove potermi affidare, approfondire. Un suono acuto mi dà la verticalità, immobile. Orizzonte e asse insieme. La mano silenziosa di G. con la mia e la campana. Una sola vibrazione. Anche un po’ commovente…
La vibrazione
Poi da seduta, in baddhakonasana, una grande campana nell’incavo dei piedi, iniziano le vibrazioni proprio nel centro, come una “porta” per la sessione. I piedi uniti e la vibrazione dal perineo attraversa l’asse. Quando G. suona le diverse campane si alternano movimenti fluidi ascendenti, a volte delicati, a volte forti, a volte veloci e dritti, a volte a spirale o anche movimenti spontanei, con direzioni e tempi loro, per ammorbidire e sciogliere laddove viene chiesto dall’interno. Una saggezza profonda che accoglie la vibrazione e la espande finché interno ed esterno non sono che uno. Così dalle piante dei piedi la vibrazione ripercorre spirali intorno all’asse, i due piedi insieme includono le polarità al centro.
Le risonanze
Al di là delle diverse risonanze nelle varie parti mi colpisce un suono acuto, che ogni tanto riporta l’immobilità e la quiete in tutto il movimento. Mi sento intera. A volte si sospende anche il respiro, nel vuoto, senza bisogno di fare nulla. Ripercorro diversi momenti di quando ero un piccolo embrione. L’embriologia mi appassiona e la sento nel respiro che diventa udibile. A volte il suono è caldo, nella parte anteriore dell’asse, una linea primaria nel corpo vertebrale. Altre volte è fluido e leggero, posteriore, nei processi spinosi, mi fa sentire embrione nell’acqua primordiale. A volte espande il cuore, la testa che si flette come quel primo abbraccio del cuore alla quarta settimana dal concepimento. La vita si esprime nella materia. A volte è semplicemente luce, nel cranio. Poi resta il silenzio. Pieno e leggero insieme. Quiete.
Grazie!
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